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Il filosofo francese Jean Luc Nancy nel suo libro Il ritratto e il suo sguardo, parlando di un autoritratto di Johannes Gummp del 1646 scrive: “Come molti autoritratti non è tanto dedicato alla rappresentazione di una persona quanto alla rappresentazione dell’atto o del processo della rappresnetazione”. Da sempre, quasi fisiologicamente, il ritratto non può che dialogare con l’idea di autoritratto, anche quando chi lo realizza non si ripropone di raffigurare se stesso. L’atto stesso del ritrarre apre una dialettica e un conflitto tra chi ritrae e chi viene ritratto. Con l’avvento della fotografia la questione si radicalizza perché l’immediatezza della rappresentazione imprime una sorta di valore “inconscio” al ruolo di colui che realizza il ritratto che, inevitabilmente, si sovrappone, si fonde, si rivela a tratti in filigrana nell’immagine del soggetto rappresentato. Nel 1967 Giulia Paolini realizza una foto in bianco e nero del quadro del 1505 di Lorenzo Lotto Ritratto di giovane. L’opera di Paolini si intitola Giovane che guarda Lorenzo Lotto. Quest’immagine di Paolini, in associazione con il suo titolo, spiega meglio di mille parole la questione fondamentale sottesa a ciascun ritratto, che sia pittorico o fotografico, e oggi persino filmato: il rispecchiamento tra ritratto e ritraente. Lo stesso Paolini nel 1969 scrive a proposito di questo suo lavoro: “ricostruzione nello spazio e nel tempo del punto occupato dall’autore (1505) e (ora) dall’osservatore di questo quadro”. Dunque nel ritratto noi spettatori, non solo vediamo lo sguardo di chi ha fatto il ritratto, non solo riviviamo lo sguardo di chi viene ritratto, ma abbiamo il privilegio di poter essere simultaneamente da tutte e due le parti: guardanti e guardati.
Il workshop di quest’anno all’Adams ha provato a ragionare sulla dinamica tra ritratto e autoritratto, non solo, o almeno non obbligatoriamente, attraverso l’autorappresentazione.
Le tre opere fotografiche realizzate da Noemi Gentiluomo, Aura Monsalves e Sabrina Polimeni, riflettendo, ciascuna in maniera diversa, sullo spazio che intercorre tra la raffigurazione di un “altro” e la specularità che questo implica in chi scatta.
Nel lavoro di Noemi Gentiluomo due figure, una femminile e una maschile, lavorano al contempo alla propria affermazione e alla propria messa in discussione attraverso il genere. La questione non è semplicemente di poter “trovare” elementi maschili nel femminile e viceversa, ma di lasciare che lo spettatore galleggi in un territorio liminale nel quale non è richiesta la distinzione, nel quale la separazione non è l’elemento determinante. La trasformazione non è statica, ma passa al centro del polittico fotografico attraverso due stampe lenticolari, che permettono allo spettatore di vedere la mutazione sempre in fieri, letteralmente in atto. La necessità dello spettatore di muoversi davanti all’immagine per poterne cogliere il cambiamento implica un embodiment del processo che normalmente coinvolgerebbe il solo sguardo: dunque l’intero corpo in trainig vive quel passaggio come un’esperienza totalizzante. Nei due ritratti laterali del polittico, che sono premessa e commento alle immagini centrali, le due figure si definiscono ciascuna singolarmente, sempre continuando a giocare sulla loro interscambiabilità. Un’ultima immagine, al centro, fonde materialmente le due figure e realizza quel senso di “ritratto dell’altro sé”: un ritratto nel quale ciascun sé si riconosce e coincide con l’altro, ma proprio nel farlo se ne distingue, producendo un processo che è quello “tradizionale” della fotografia di ritratto.
Nel lavoro di Aura Monsalves la rappresentazione abbandona il volto e va diretta al “luogo” simbolo della nascita, punto di accesso alle nostre parti più intime e profonde: l’ombelico. Il lavoro presenta un video multi-immagine, che ci immette in una traiettoria geologica che si avvita in fondo a un tunnel nero. Ripetuto in maniera simmetrica in più frames, questo viaggio spiraliforme diventa ottico e trasforma quegli oggetti concreti in immagini astratte. La sequenza di piccole foto stampate che accompagnano il video, una dietro l’altra, ci mostra una sorta di “catalogo” delle porte di accesso a quei tanti possibili “tunnel”: immagini tutte uguali, ma tutte totalmente diverse, di ombelichi umani. La visione simmetrica dei due lavori ci lascia il dubbio, che certo io non svelo, di dove ci abbia condotto il percorso nel buco nero del video: se in un corpo di carne o di materiale inerte. Questo lavoro prova a non rappresentare l'”espressione” di qualcuno tramite il volto, ma fa parlare il proprio ombelico come metafora di uno sguardo che prova ad andare più a fondo, dentro la parte più nascosta, intoccabile e insieme in qualche modo “atavica” di ogni individuo. La successione delle piccole foto rende di nuovo per un attimo astratta quella parte così carnosa e concreta di corpo, ma l’osservazione di ciascuna singola immagine ci riconduce subito alla singolarità inderogabile di ognuno, a quella peculiarità imprescindibile di ogni individuo. Una serie di ritratti di amici: visti da dentro.
Nel lavoro di Sabrina Polimeni il ritratto diviene uno strumento, un dispositivo, per rappresentare la capacità del volto di divenire “mappa” di diverse possibili emozioni o sentimenti. La lettura, la decifrazione della mappa non è universale, non è data una volta per tutte, non è decisa come tale da chi la traccia. Ciascuna fotografia non “dice” ma suggerisce allo spettatore di confrontarsi con un’iconografia, con una rappresentazione che, per Sabrina, parte da una propria visione di due specifiche emozioni: paura e rabbia. Le immagini si duplicano, si connettono le une alle altre in una trama di senso e estetica che di nuovo non si impone a chi guarda, ma allude a un possibile percorso. Allo spettatore viene lasciata la possibilità di trovare un proprio itinerario, di disegnarlo materialmente intraprendendo un proprio viaggio emotivo attraverso un atto “performativo” che lo coinvolge in maniera diretta. La foto portano sopra di loro la traccia di un “ripensamento” pittorico, una sorta di riflessione a voce alta, a volte bisbigliata a volte gridata, su quanto quelle immagini suscitano alla stessa Sabrina non più solo come loro autrice, ma anche come loro osservatrice.

Viviana Gravano

Autori

Noemi Gentiluomo, Aura Monsalves, Sabrina Polimeni.