Il sottile gioco tra luce e carne

Luce, ombra, interazione tra queste e di queste con le forme: la suggestione delle proiezioni ha origini remotissime e radicate nei più diversi ambiti del sapere e del fare umano. Se ne trova traccia già nel mondo antico: nel mito della caverna di Platone, dove le ombre della realtà esterna proiettate davanti agli occhi dei prigionieri sono metafora del mondo “dell’opinione”, cioè il sentire comune estraneo al pensiero filosofico; oppure nella leggendaria storia della nascita della pittura, trasmessaci da Erodoto, dove la figlia di un vasaio, per conservare l’immagine dell’amato in partenza per la guerra, ne disegnò il profilo copiandone l’ombra sul muro. Aristotele, nel IV secolo a.C., narrò come riuscì ad osservare un’eclissi proiettata sul terreno attraverso i fori di un colino; ed è sempre lui che per primo descrisse formalmente il fenomeno – di origini arabe ben più antiche – della “camera obscura”.

La fotografia è la giovane figlia di questo processo millenario di conoscenza e fascinazione, la più quotidiana e accessibile: chiunque abbia avuto in mano un apparecchio in grado di fissare staticamente un’immagine su un supporto ha dovuto fare i conti, magari in modo inconsapevole, con ciò che si trovava davanti all’obiettivo, con la quantità di luce e di ombra presenti sulla scena, e con il criterio secondo cui tutti questi elementi interagivano e si componevano al momento dello scatto.

In maniera consapevole l’hanno invece fatto i grandi nomi della fotografia: Man Ray, Henri Cartier-Bresson, solo per citarne alcuni. Consci del potere a tratti magico della fotografia di giocare con lo spazio euclideo e di ingannare le nostre sensazioni, facendoci percepire come tridimensionale una proiezione a due dimensioni, questi maestri hanno indossato la veste di moderni incantatori, trasformando in materia viva e vibrante entità empiricamente considerate intangibili quali la luce e l’ombra, e lasciandocene testimonianza attraverso le loro opere.

Scegliere di illuminare un corpo nudo esclusivamente attraverso proiezioni d’autore, facendolo emergere dal buio come avviene di ogni cosa vivente, e poi fotografarlo nell’interazione con i chiaroscuri che la sua pelle accoglie, significa ripercorrere e amplificare l’azione creatrice che risiede in queste immagini ormai diventate icone. La materia impalpabile resa viva dalla sapiente azione dei maestri, incontrandosi con la vera materia vibrante del corpo, dà origine a un processo archetipico che ripercorre le radici della fotografia, ne trae nutrimento e le restituisce nuova linfa. Ne deriva un’opera lenta e contemplativa, che induce l’occhio ad indugiare, a soffermarsi sulle linee e sui contrasti, ad accarezzare i pieni e i vuoti, al fine di ripercorre lo svolgersi del sottile gioco – a volte palese, a volte ambiguo – tra luce e carne.

Paola Paleari

Gli Autori

Bie May Linn, Golikidov Irini, Luppino Alessandra, Nuti Margherita, Martini Floriana, Paola Paleari, Piano Raffaele, Santorelli Maria Elena, Saonari Serena Marica.